lunedì 27 febbraio 2017

Le kcal

Per vivere c’è bisogno di energia, e con il tempo sono stati sviluppati modelli matematici che ci hanno permesso di assegnare un valore numerico tanto alla nutrizione quanto all’attività fisica. Allo stesso modo ci siamo esercitati a fare bene i calcoli e abbiamo capito che per mantenere stabile il nostro peso, dobbiamo introdurre solo il cibo che riusciamo a smaltire con il movimento (vai qui). Così, per esempio, se l’energia contenuta in un gelato è di più di quella necessaria a farci camminare dal frigo al divano, ne accumuleremo la differenza sotto forma di grasso e aumenteremo di peso. Quale energia? Quella contenuta nel cibo, l’energia silenziosa degli alimenti conosciuta con il nome di calorie. Le calorie ci svelano infatti quanta energia c’è in quello che mangiamo e beviamo - proprio come fanno i chilogrammi con il peso – ed è per questo che vengono dichiarate sulle etichette delle confezioni alimentari sotto la voce “valori nutrizionali”. Il quantitativo di calorie di ciascun alimento viene ricavato per mezzo della Bomba Calorimetrica, un recipiente a chiusura ermetica nel quale si brucia un campione definito di cibo e se ne misura il calore prodotto (Vedi sotto). 


Bomba Calorimetrica - La Caloria equivale al calore necessario ad innalzare da 14,5 °C a 15,5 °C la temperatura di un litro d’acqua, alla pressione di 1 atmosfera.  Questa misura viene fatta utilizzando uno strumento creato ad hoc per misurare il potere calorifico di combustibili solidi o liquidi, la bomba calorimetrica. In quest’ultima, gli alimenti vengono fatti letteralmente “bruciare” e il calore da essi prodotto si trasferisce all’acqua circostante. Dalla variazione della temperatura dell’acqua, rilevata attraverso appositi termometri, di deduce quindi il potere calorico del cibo.
Come unità di misura del potere calorifico degli alimenti è stata scelta la Caloria (notate la “C” maiuscola), che in realtà noi preferiamo chiamare kcal (chilocaloria). 

       I valori di Atwater rappresentano una media del valore
       calorico delle diverse forme dei macronutrienti. 
       Così, per i carboidrati il valore di 4 kcal per grammo 
       è stato ottenuto facendo la media della combustione 
       del glucosio, del  glicogeno  e dell'amido. 
       Per gli acidi grassi la media è stata ottenuta
       considerando le calorie legate alla combustione di acidi 
       grassi di diversa lunghezza. Infine, per le proteine è stato 
       escluso il contributo calorico dell'N che a livello biologico
       non ha rilevanza energetica.
Proteine e carboidrati forniscono 4 kcal per grammo, mentre i grassi ne forniscono 9 per grammo. Conoscendo questi valori è possibile definire il contenuto calorico degli alimenti che contengono quantità variabili dei tre nutrienti. 
Se guardate l'etichetta nutrizionale posta sul retro di un cartoncino di latte parzialmente scremato, vedrete che questo contiene all’incirca 50 kcal per ogni 100 g (ml) di prodotto (vedi figura sotto).  
Ciò significa che facendone bruciare 100 grammi su di una fiamma si riuscirebbero a produrre 50 kcal, calore sufficiente ad innalzare di 1 °C la temperatura di 50 kg d’acqua. Di queste 50 kcal, 16 provengono dai grassi (9 x 1,8), 20 dai carboidrati (4 x 5) e 14 dalle proteine (4 x 3,5).

Nella dieta però, non è il calore ad essere importante, bensì l’energia, o meglio la quantità di energia che il nostro corpo estrae dal metabolismo di ciò che mangiamo. Infatti, anche se l’energia viene comunemente misurata in kcal, quando posta in relazione all’organismo vivente assume una significato esclusivamente chimico. 


I processi metabolici trasformano e utilizzano i carboidrati e i grassi, estraendo dagli alimenti ingeriti l’energia necessaria a ricostituire l’ATP. Sono i legami chimici di quest’ultimo a fornire l’energia per ogni attività cellulare. Questi legami, che vengono definiti “legami altamente energetici” e indicati con la notazione (~), non differiscono da quelli che tengono assieme gli atomi dei nutrienti introdotti con l’alimentazione, salvo che per il valore relativamente elevato di energia necessaria a formarli. Un’assunzione media di 2.500 kcal giornaliere si traduce in una produzione di 180 kg di ATP. Ma questo è solo un investimento energetico, recuperabile all’atto della rottura dei legami dell’ATP (idrolisi). Da tutto questo discorso sono state omesse le proteine perché la loro capacità di fornire kcal è certa solo quando si scalda l’acqua in condizioni sperimentali. Infatti, nel contesto di una nutrizione adeguata, gli aminoacidi delle proteine ingerite non vengono spinti nei cicli di produzione dell’energia, bensì risparmiati per essere impiegati in attività più nobili, quale, per esempio, la sintesi di nuove proteine corporee.
Dimenticavo. Come per tutto, c’è sempre qualcuno che si diverte a complicare le cose dando connotazioni diverse a nozioni già acquisite. Così, dal Gennaio 2000 tutti i paesi della Comunità Europea, hanno deciso di assumere un’unità di misura diversa per calcolare la quantità di energia prodotta dagli alimenti, quella riconosciuta dal Sistema Internazionale. Via dunque la caloria e benvenuto al joule, che esprime meglio il lavoro e si abbrevia con j. Per passare agevolmente dalle kcal ai joule, un'unità di misura più consona ai fisici, è sufficiente moltiplicare per 4,186. 

mercoledì 8 febbraio 2017

L'ATP



Pensate ai nutrienti come se fossero banconote di diversi tagli, e che la maggior parte dei distributori automatici, in questo caso le cellule, non accetti banconote, bensì solo monete. Ecco, l’ATP è la moneta dell’esempio, l’unica fonte di energia spendibile a livello biologico. Cosa significa ATP? ATP sta per adenosin trifosfato ed è il carburante  dei muscoli e di ogni altra cellula, una vera bomba ultramicroscopica d’energia. Non importa ciò che fate, sia che vi sfioriate un orecchio o solleviate 100 kg alle distensioni su panca, sarà sempre e solo la disponibilità di ATP a consentirvi di farlo. Tuttavia, per disporre continuamente di ATP bisogna spendere le banconote, ovvero i nutrienti da cui poter estrarre l’energia chimica necessaria a ricostituirlo dall’ADP, ciò che dell’ATP resta dopo che  l’organismo l’ha utilizzato  per le sue necessità energetiche. 



L’ ATP è un composto del carbonio con una struttura ben ordinata, come quella di una spina dorsale. Come tale si compone di uno zucchero, il ribosio, che da una parte lega una base azotata e dall’altra una coda formata da tre gruppi contenenti il fosforo (P), da cui, appunto, il nome di trifosfato. Quest’ultima porzione della molecola è molto instabile, e come tale rappresenta l’unica parte attiva dell’ATP. 
Infatti, è proprio tra i gruppi contenenti il fosforo che c’è un sacco di energia potenziale, la stessa che permette ai muscoli di contrarsi. Ogni gruppo fosforico dell’ATP è formato da un atomo di fosforo legato ad atomi di ossigeno (O). Come si può vedere nell’immagine al lato, l’ossigeno si lega agli atomi di fosforo sia centralmente, per mantenerli uniti assieme, che lateralmente per occuparne i legami laterali. In condizioni fisiologiche, parte di questi legami laterali ha cariche di segno meno, conferendo, in tal modo, una carica negativa a ciascun gruppo fosforico. Come ben sapete, le cariche dello stesso segno si respingono e i gruppi fosforici dell’ATP non fanno eccezione a questa legge. Viene così a crearsi, in questa parte della molecola (in rosa), una forte repulsione legata alla volontà di ciascun gruppo di scappare via dall’altro. Ora, immaginate l’energia accumulata da una molla mentre la tenete compressa su di un tavolo; bene, non appena la rilascerete, la molla avrà modo di saltare, liberando così tutta l’energia immagazzinata per mezzo della vostra pressione. I legami che tengono assieme i gruppi fosforici dell’ATP si comportano proprio come la molla dell’esempio: si caricano dell’energia associata alla repulsione elettrostatica degli atomi di ossigeno dei gruppi fosforici, che cercano, in ogni modo, di allontanarsi da quelli contigui perché di carica uguale. Tuttavia, queste forze di repulsione non bastano a rompere i legami, e l’energia ad essi associata può essere liberata solo grazie all’intervento dell’enzima adenosin trifosfatasi (ATPasi). Poiché la rottura dei legami dell’ATP prevede l’impiego di una molecola d’acqua, la reazione catalizzata dall’ATPasi prende il nome di idrolisi. L’energia prodotta dall’idrolisi dell’ATP è massima per la rottura dei suoi due legami più esterni, quelli anidridici, e minima per quello interno o estere. La scissione del legame andridico libera il gruppo fosfato più esterno e genera all’incirca 7,3 kcal per ogni mole di ATP degradata, più del doppio di quella fornita dalla rottura del legame estere. In questo caso, l’ATP dona il suo gruppo fosforico degradandosi ad ADP (adenosin difosfato), una molecola contenete solo due gruppi fosforici anziché i tre iniziali: 


L’energia liberata dall’idrolisi dell’ATP non viene però rilasciata a vuoto e a caso, bensì trasferita puntualmente e direttamente ad altre molecole che la richiedono. 
Per esempio, immaginate di stare in palestra, mentre siete impegnati a terminare un set di curl con manubri. Durante ogni singola ripetizione, nei bicipiti, la rottura del legame che unisce l’ultimo gruppo fosforico all’ATP serve a mettere in moto due speciali proteine: l’actina e la miosina. Queste proteine motrici, tipiche del muscolo, riescono così a combinarsi e a scorrere l’una sull’altra determinando l’accorciamento, e quindi la flessione delle braccia.

La nota interessante è che né l’actina e né la miosina sono contrattili se prese separatamente. Però, quando un impulso elettrico dal cervello investe una porzione di muscolo, l’energia fornita dall’idrolisi dell’ATP spinge la miosina ad attaccarsi all’actina, permettendo, infine, lo scorrimento delle due proteine. Ma non è tutto, perché l’ATP serve a consentire anche il distacco dell’actina e della miosina, nonché il loro successivo ricongiungimento in un altro punto più avanzato del filamento. E’ questo un caso di reazioni accoppiate, ovvero di due reazioni che avvengono nello stesso istante, dove la prima fornisce energia alla seconda che la richiede e la utilizza.

La contrazione muscolare richiede energia in maniera continua e l’ATP ne rappresenta la fonte più diretta. Tuttavia, l’ATP presente nell’organismo è poco, appena 80-100 g. Sarebbe a dire che un esercizio massimale completo ne prosciugherebbe la disponibilità nel giro di pochissimi secondi, 2 o 4 al massimo. Fortunatamente però, la limitazione legata alla sua scarsa disponibilità viene superata attraverso una sintesi incessante di ATP, il quale viene rigenerato aggiungendo nuovamente un gruppo fosfato alla molecola di ADP; tuttavia questo richiede energia, proprio come se dovessimo ricomprimere nuovamente la molla. È il catabolismo dei nutrienti a fornire l’energia chimica necessaria alla rigenerazione dell’ATP dall’ADP, un passaggio fondamentale affinché il muscolo possa funzionare per più di qualche secondo. I legami che tengono uniti assieme gli atomi dei nutrienti contengono poca energia e come tali non sarebbero capaci di soddisfare le richieste metaboliche cellulari. Questi legami devono essere quindi spezzati e tradotti in legami a più alta energia, che sono appunto i legami anidride dell’ultimo e del secondo gruppo fosfato dell’ATP.  
L’ATP non è solo contrazione muscolare, bensì lavoro biologico a 360°. Infatti, l’energia fornita dall’ATP serve anche a riparare le strutture danneggiate con l’allenamento, e delle stesse a promuoverne la crescita. È il caso sella sintesi proteica, dove l’ATP alimenta il lavoro chimico necessario ad unire gli aminoacidi gli uni agli altri (Di quante proteine hai bisogno?). Non meno importante è il ruolo dell’ATP nel consentire la concentrazione di sostanze nell’organismo: il “trasporto attivo”, la forma più tranquilla di lavoro biologico, utilizza incessantemente i depositi di energia disponibili per alimentare lo scambio di composti attraverso le membrane semipermeabili.